Appunti legge

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http://www.immigrazione.biz/normative.php (tutte le leggi europee e italiane riguardanti gli immigrati)
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Info su problemi in Africa:

Le rivolte sono cominciate alla fine del 2010, in Tunisia, quando alcune persone esasperate dalla povertà e dalle ingiustizie si sono date fuoco in piazza. In un mese e mezzo abbiamo assistito al crollo di due regimi trentennali – quello di Ben Ali in Tunisia e quello di Mubarak in Egitto – e alla diffusione di moti di protesta in altri tredici nazioni. Ecco, quindi, paese per paese, cosa sta succedendo in Medio Oriente e in Nordafrica.

Libia
A metà febbraio le proteste che infiammano una parte consistente del mondo arabo raggiungono anche la Libia del colonnello Muammar Gheddafi al potere da 41 anni. In pochissimi giorni la situazione va fuori controllo. Ci sono violenti scontri tra manifestanti antigovernativi e gruppi che sostengono il rais. Il regime decide di applicare la massima brutalità nel tentativo di stroncare la rivolta. Già nei primi giorni di repressione si contano centinaia di morti e moltissimi feriti. Le città principali sprofondano nel caos, migliaia di persone occupano la Piazza Verde di Tripoli, i palazzi del potere vengono dati alle fiamme, la Libia si trova isolata e le notizie iniziano a rincorrersi confuse. Voci su importanti defezioni nell'esercito si mescolano a quelle di tentativi di un golpe militare, politici e diplomatici iniziano a sfilarsi dal regime. Voci non confermate danno Gheddafi in fuga, forse verso il Venezuela. Poi mentre le violenze continuano con bombardamenti sui civili e i morti diventano molte migliaia, forse più di diecimila, il 22 febbraio il leader della Jamahiriya, Gheddafi, appare in tv da Tripoli, esprimendo terribili messaggi sulla sua volontà di combattere "fino all'ultima goccia di sangue" ed eventualmente di "morire come un martire". Mentre miliziani mercenari provenienti da altri paesi africani convergono sulla Libia per dar manforte al regime del colonnello e al Qaeda cerca di infilarsi nella contesa manifestando il suo appoggio interessato agli oppositori di Gheddafi, la Libia naufraga nel sangue. Nel corso dell'ultima settimana di febbraio molte città cadono in mano agli insorti, la Cirenaica si dichiara "zona liberata" dal governo di Gheddafi. Il regime continua a bombardare altri centri.Tra mercoledì 23 febbraio e giovedì 24, Gheddafi e i suoi fedeli si asserragliano a Tripoli. Il rais è rifugiato nel bunker di Bab al-Aziziya, nella capitale. Gli scontri, violentissimi, proseguono. Le Nazioni Unite decidono di comminare sanzioni nei confronti del regime di Gheddafi. Il 27 febbraio a Bengasi si forma un Consiglio nazionale di transizione, che ha l'obiettivo di raccogliere in un fronte comune tutte le città controllate dagli insorti. Il 7 e l'8 marzo sui network televisivi arabi si rincorrono voci su possibili trattative tra i ribelli e Gheddafi per un'uscita di scena, con garanzie, per il Colonnello. Nei giorni successivi la controffensiva di Gheddafi si rivela efficace. Il 17 marzo viene approvata la risoluzione 1973 delle Nazioni Unite che autorizza la comunità internazionale a istituire una no-fly zone sulla Libia e a impiegare ogni mezzo necessario alla protezione dei civili e all'imposizione del cessate il fuoco. La Francia si distingue per interventismo, ma sono vari i paesi impegnati nella missione "Odyssey Dawn" tra cui gli Stati Uniti e l'Italia. In Libia è guerra. Continuano gli scontri tra le truppe lealiste e gli insorti e, a partire dal 19 marzo, iniziano i bombardamenti aerei della coalizione internazionale su obiettivi strategici in vista dell'istituzione e del controllo di una efficace no-fly zone. Nei primi giorni dell'intervento dei "volenterosi", autorizzato dalle Nazioni Unite, tra i paesi partecipanti alle operazioni si verifica qualche attrito riguardo alla leadership della missione. Nonostante le centinaia di operazioni condotte dagli aerei dei paesi che partecipano a Odyssey Dawn gli scontri tra gli insorti e le truppe fedeli al Colonnello continuano, in una guerra di posizione in cui si alternano avanzate e ritirate e alcune località passano più volte di mano. Il 4 aprile il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, dichiara che Roma ha deciso "di riconoscere il Consiglio nazionale di transizione libico come unico interlocutore legittimo" e ha affermato che la risoluzione 1973 delle Nazioni Unite "non impedisce" di fornire armi ai ribelli libici.

Algeria
A partire da gennaio, l'Algeria ha assistito a varie proteste antigovernative che hanno portato in superficie il malessere che da tempo sobbolle nel più vasto paese del Maghreb. I principali motivi di malcontento sono la disoccupazione e la corruzione diffuse, l'aumento dei prezzi per i beni di prima necessità e il persistere di pratiche di governo autoritarie. Nel mese di gennaio, alcuni algerini si sono autoimmolati, a imitazione del tunisino Mohamed Bouazizi che, dandosi fuoco, aveva innescato la rivolta popolare nel suo paese. Il presidente algerino, Abdelaziz Bouteflika, al potere dal 1999, ha cercato di calmare gli animi revocando lo stato di emergenza in vigore da 19 anni. Secondo molti osservatori si tratta di una manovra più che altro simbolica. Nonostante rimanga vigente il divieto di manifestazioni, nelle ultime settimane di febbraio e nei primi giorni di marzo gruppi di dimostranti scendono in piazza in ripetute occasioni, controllati da consistenti dispiegamenti delle forze di sicurezza. Il 5 marzo uno dei leader dell'opposizione, il capo del partito Raggruppamento per la cultura e la democrazia, Said Sadi (che fa parte del Coordinamento per la democrazia e il cambio, il movimento che guida le proteste), è aggredito da contromanifestanti lealisti. Il 7 marzo scendono in piazza, nonostante i divieti, migliaia di agenti della polizia locale, che chiedono stipendi migliori. La loro manifestazione, altrettanto numerosa, viene replicata il 3 aprile. I disordini nel paese rimangono più che altro in potenza. Probabilmente ha il suo peso il ricordo dei massacri che sconvolsero l'Algeria negli anni Novanta, nel corso del conflitto stragista e fratricida (circa duecentomila vittime) seguito all'annullamento del risultato di elezioni vinte dal partito islamista Fis.

Gibuti
Migliaia di persone hanno protestato contro il governo il 18 Febbraio. Le forze dell’ordine hanno caricato la folla dopo il richiamo alla preghiera, sparando gas lacrimogeni contro i dimostranti. I movimenti di opposizione chiedono al presidente Ismail Omar Guelleh – la cui famiglia è al potere dal 1977 – di dimettersi prima delle elezioni che si terranno in aprile.

Egitto
A una settimana dalle dimissioni di Mubarak, gli oppositori del regime hanno festeggiato il “giorno della vittoria” con una grande manifestazione in piazza Tahrir, epicentro delle rivolte. Mubarak si è dimesso l’11 febbraio dopo 18 giorno di proteste ininterrotte. L’esercito è al potere da quel momento: ha deciso di sciogliere il parlamento, sospendere la costituzione e indire una commissione con il compito di elaborare una nuova costituzione, che sarà sottoposta a referendum. L’esercito resterà al governo fino a settembre, quando dovrebbero tenersi nuove elezioni.I leader del G20 si sono incontrati a Parigi e si sono impegnati a sostenere i nuovi governi dell’Egitto e della Tunisia.

Sudan
Le ragioni della protesta sono l’operato del partito del Congresso e l’aumento dei prezzi imposto dal governo. La risposta delle forze di sicurezza è decisa (lacrimogeni, percosse, idranti). Il 30 e 31 gennaio si sono svolte delle manifestazioni a Khartum che sono state represse piuttosto duramente: diverse persone sono state arrestate e venti sono attualmente disperse. Il presidente del Sudan, Omar al-Bashir, accusato di crimini contro l’umanità dalla Corte Penale Internazionale, ha detto oggi che alle prossime elezioni non si ricandiderà.Secondo tutti gli analisti, l'annuncio di al-Bashir ha l'obiettivo di diluire le possibilità che il contagio contestatario travolga anche il suo paese (e il suo "trono"). Il 21 marzo un intervento preventivo delle forze di sicurezza impedisce sul nascere il dispiegarsi di una protesta a Khartoum.

Tunisia
Dopo settimane di proteste, il 14 gennaio il presidente Zine El Abidine Ben Ali ha sciolto il governo e lasciato il paese. Il premier Mohamed Ghannouchi ha preso temporaneamente il suo posto, assicurando che governerà nel rispetto della costituzione e in collaborazione con tutti i partiti. Ghannouchi ha formato un governo di unità nazionale e ha annunciato che le elezioni si terranno tra sei mesi. Le proteste sono inziate il 17 dicembre dopo che un giovane venditore ambulante si era dato fuoco per contestare il sequestro della sua merce: dopo di lui almeno altre cinque persone si sono date fuoco.

Marocco
L'ondata di proteste popolari che sconvolge il Maghreb è per ora stata più contenuta rispetto ai paesi vicini. Nonostante la diffusione della povertà e la carenza di democrazia, il re Mohammed VI gode di genuina simpatia presso al maggioranza dei suoi sudditi e ha mantenuto fino a oggi l'immagine di un riformista.I manifestanti hanno chiesto al governo nuovi posti di lavoro, una riforma scolastica, migliori servizi sanitari e lotta all’aumento del costo della vita. Nonostante il rispetto per il re, anche in Marocco nel corso del mese di febbraio ci sono proteste legate all'aumento dei prezzi, a una situazione economica difficile per molti e alle richieste di una riduzione dei poteri in mano al sovrano. Il 20 febbraio alcune decine di migliaia di persone scendono in strada in varie città del paese. il re promette di rafforzare i poteri del parlamento e dei partiti politici e di riformare il potere giudiziario. Il 20 marzo decine migliaia di persone tornano in piazza chiedendo una nuova Costituzione. Il 3 aprile c'è una nuova manifestazione a Casablanca a cui partecipano circa quattromila persone una parte dei dimostranti chiede l'abolizione dell'articolo 19 della Costituzione, che stabilisce lo status religioso del re.

Info diritto d'asilo:

La Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo riconosce il diritto d'asilo all'art. 14 come diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni, non invocabile, però, da chi sia realmente ricercato per reati non politici o per azioni contrarie ai fini e ai princìpi delle Nazioni Unite.
Lo sviluppo del terrorismo politico a partire dalla seconda metà del secolo scorso ha creato la categoria dei terroristi fuggitivi, in cerca di "santuari", luoghi dove potersi riprendere da ferite, cambiare identità, cercare alleanze. Nel primo dopoguerra i paesi più aperti nel concedere l'asilo ai terroristi politici furono i paesi del blocco orientale. La Francia divenne in seguito il paese più ospitale per i terroristi di sinistra, specialmente italiani, in base alla dottrina Mitterrand (1985). Vi sono tuttavia anche altri paesi che concedono facilmente asilo a terroristi politici.

In Italia il diritto di asilo è garantito dall’art.10 comma 3 della Costituzione:
Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.(wikipedia)

il divieto di respingimento alla frontiera,
l’asilo,
l’ubicazione degli insediamenti di rifugiati,
il divieto per i rifugiati di svolgere attività sovversive,
il rimpatrio volontario.

Una volta ottenuto il riconoscimento dello status, i rifugiati godono del diritto di soggiorno nel paese d’asilo, che consente loro di lavorare, di accedere agli studi di ogni ordine e grado, di avvalersi del ricongiungimento familiare, di iscriversi al sistema sanitario nazionale e, in alcuni casi, di avere accesso all’assistenza sociale. Dopo cinque anni di residenza, essi possono chiedere la cittadinanza italiana.(http://www.unhcr.it/news/dir/62/view/147/quali-sono-i-diritti-dei-rifugiati-in-italia-14700.html).

Legge immigrati
http://www.ristretti.it/areestudio/stranieri/leggi/legge.htm

Legge 05/05/2011

"Disposizioni concernenti la regolazione dell'accoglienza degli immigrati"

I richiedenti di asilo politico senza passaporto o carte di identità saranno accolti in campi in cui potranno risiedere per massimo 2 settimane-1 mese (dipendenti della situazione dell'emergenza). gli altri potranno risiedere in casa e svolgere dei lavori utili al paese e ricevere una paga come compenso(questi lavori non possono superare un tot per non intralciare l'occupazione dei residenti) oppure scegliere di vivere sempre in case date dal governo ma di dover firmare una volta al giorno nella questura del paese. i richiedenti di asilo politico potranno soggiornare nel paese di arrivo/accoglienza fino al perdurare del motivo per cui hanno chiesto l'asilo politico.

In italia gli emmigranti non potranno superare il 25% della popolazione locale calcolata con rapporto tra il livello regionale e comunale della densità demografica. Esclusi da queste norme i capoluoghi delle regioni finchè non si arriverà all'apice dell'emergenza. a livello europeo